Della morte non si discute mai con scioltezza, da noi. Come fosse un tabù, la nostra cultura tende ad evitare tale argomento. Eppure i nostri antenati, i nostri nonni sapevano, a loro modo, ostracizzare i momenti più tristi e dolorosi del lutto in una maniera che, oggi, ci appare in tutta la sua “umanità”.

Stiamo parlando di una tradizione, quella del “cunsulu”, che etimologicamente sta per “consolazione”, cioè quello che oggi si definirebbe, con il solito americanismo “funeral party”. C’è tuttavia una bella differenza con gli odierni banchetti dei paesi anglosassoni. Il momento è sempre e comunque il dopo-funerale. Ma , in Sicilia, aveva tutto un altro rituale e un altro significato.

I parenti più alla lontana, gli amici o i vicini si presentavano a casa delle famiglie in lutto con dei cibi cotti e fumanti nelle ore immediatamente successive alla morte del defunto. In questo modo i familiari potevano concentrarsi sul dolore della dipartita senza dover pensare a cosa preparare da mangiare. Un gesto caritatevole, amorevole, che spronava amici e familiari ad andar avanti: un modo molto discreto per dire “ci sono anche io, non sei solo” a chi stava soffrendo per la morte di una persona cara. Un momento bello, in momenti brutti. Il cunsulu siciliano era affascinante perché fatto di momenti particolari e seguiva un vero e proprio percorso: le pietanze calde subito dopo la morte del congiunto, la colazione con il caffè la mattina successiva, poi pranzo e cena. I parenti venivano accuditi dalle persone che li amavano. 

La casa, se pure in lutto, si riempiva di calore non solo dei cibi, ma di calore umano. Questo rito si prolungava dai tre ai cinque giorni successivi al triste evento. I pasti più gettonati erano la pasta al forno e il gattò di patate, montagne di polpette, perché buoni pure da freddi e si scaldavano facilmente. Al mattino la colazione, con thermos pieni di caffè e biscotti da inzuppo. Cibo che veniva distribuito tra le stesse persone in lutto e lasciato sul tavolo alla mercé di chi ne sentisse il bisogno e avesse un languorino nei lunghi momenti di veglia. 

Quanto ci può essere di solidale e di vicinanza in questa tradizione siciliana e meridionale in genere, che oggi viene dai soliti benpensanti guardata con sorrisetti ironici, lo troviamo in nuovi modi di approcciare e di condividere i momenti post mortem in Italia e nel mondo. Stiamo parlando dei death cafè, che sono momenti di condivisione tra perfetti sconosciuti per interrogarsi su come la morte possa far parte della nostra vita. e su come vivere il lutto. Ne sono nati tanti in molte città d’Italia per rispondere all’esigenza di sciogliere dubbi e creare contesti in cui si riesca ad affrontare temi dei quali in genere si fatica a parlare. Ma “lu cunsulu” era tutt’altra cosa.

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