La nostra bella “sceusa”

Ci sono ancora, i pupi di scèusa, qui da noi. E non sono quelli che facevamo da bambini con i nostri genitori e nonni per allietare e festeggiare l’Ascensione. Sono i pupazzi che adesso sono seduti in trionfo sulle sedie del cortile, ma che presto, prestissimo saranno bruciati, meritatamente, perchè si sono completamente dimenticati delle nostre belle tradizioni popolari, dando spazio al nulla assoluto. Tutto scomparso dagli eventi cittadini da chi non rispetta perchè non conosce, non sa, non ha ricordi. Tradizioni? Quali? Quando? mentre dappertutto ci si dà da fare per valorizzare, rafforzare le tradizioni, qui da noi che si fa? Si dimentica tutto, si polverizza e si distrugge, anche dalla memoria, il patrimonio inestimabile che ci è stato tramandato con tanto amore dai nostri padri. E dopo ? Che ne sarà con i nuovi che arriveranno? Altro colpo di spugna ! Altri pupi di scèusa pronti a sedersi su quelle sedie, nel nostro cortile. E dopo questo sfogo, di cui mi scuso con i miei lettori, così, per rinfrescare al nostra memoria, copio e incollo un articolo di questo blog dello scorso anno…a futura memoria…

Pubblicato da FLAVIA VERDE il 14 Maggio 2021

Il corteo festoso delle capre , dei carretti bardati a festa , dei bambini con i loro costumi tradizionali siciliani si snodava , qualche anno fa, per le nostre strade, partendo dal quartiere di San Michele e immergendosi tra le viuzze che dal castello Luna portano al centro storico. Il tintinnare delle ciancianedde appese al collo delle capre si mescolava al canto festoso dei piccoli burgisi, al vocìo delle tante persone che accorrevano a vedere: era arrivata l’Ascensione, una delle feste più belle, in cui i confini tra il sacro e il profano sembravano volatilizzarsi e disperdersi in una pioggia di emozioni che solo la tradizione popolare della nostra gente può trasmettere.

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ll Pitrè, Salomone Marino e Ignazio Buttitta scrivono della credenza alquanto diffusa in Sicilia che a mezzanotte in punto l’acqua del mare diventasse miracolosamente dolce, acquistando proprietà terapeutiche. In quel preciso istante in cui Gesù saliva al cielo, turbe di gente, che si erano accampate già da tempo sulle spiagge, si riversavano in mare, sperando, con fede incrollabile, in una pronta guarigione. Se il miracolo non avveniva – pazienza! – voleva dire che non ci si era immersi all’ora giusta.

Secondo la saggezza popolare, era opportuno purificare anche gli animali perché da loro dipendeva la sopravvivenza dell’uomo. «Tutti vogliono far entrare nell’acqua gli animali – scriveva con tratto realistico il Salomone-Marino – a mondarli e guarirli da reali o supposte infermità. E qui, alla incerta luce notturna, la confusione attinge il colmo; tanto più che gli animali sono restii a quel freddo insolito bagno e ricalcitrano e fuggono, mentre i padroni ve li spingono a forza in tutti i modi, per diritto, di sbieco, a ritroso, cavalcandoli, tirandoli, spingendoli, sollevandoli di peso»

Nei cortili, nei vicoli, in campagna, la sceusa aveva però come protagonisti i “pupi “e i giochi popolari come la corsa con i sacchi, quello della pignata e quello della padella. Le vicine portavano abiti vecchi, scarpe, coppole che venivano selezionati accuratamente per fare i pupi, riempiti di paglia e messi seduti davanti a un tavolino con piatti poveri improvvisati. Lu pupu e la pupa erano messi abbracciati per un rituale che oggi può sapere di crudeltà(visto che sarebbero finiti bruciati). “Pariti ddu pupi di sceusa” si soleva dire a una coppia allampanata .

Ma noi ragazzi andavamo intorno a quel tavolino festosi e felici, mentre gli adulti si riunivano per partecipare ai giochi tradizionali in onore della Santa Sceusa. La corsa con i sacchi vedeva protagonisti i giovanotti più avvenenti; mentre per noi c’era il gioco delle quartare e il gioco della padella. Una corda stesa orizzontalmente mostrava appese delle brocche piene di acqua, sabbia, cenere. I partecipanti alla gara venivano bendati e gli veniva messo in mano un bastone con il quale dovevano tentare di percuotere( e quindi rompere le quartare appese alla corda.) Al primo tentativo andato a vuoto, le nostre risate riempivano il quartiere di San Michele; poi battevamo le mani appena la brocca finiva in mille pezzi, riversando il suo contenuto sul malcapitato che l’aveva colpita.

Per il gioco della padella, si prendeva la padella più vecchia e più affumicata che c’era; un nostro amico la appendeva a una corda dopo avervi appiccicato una grossa moneta al centro. I picciotti scatenati facevano a gara per staccare la moneta dalla padella, imbrattandosi fino all’inverosimile di fuliggine, tra le risate dei presenti. Ma al tramonto del sole, i pupi dovevano essere bruciati. Per tutta le serata, ragazzi e adulti si divertivano a saltare su quello che restava del falò dei pupi, come una sorta di rito di liberazione, di scaramanzia, di propiziazione, di qualcosa che metteva allegria e gioia di vivere. Una tradizione bellissima, che ci manca tanto.

“Risuddi sicchi e pupi di pagghia,
vampati tanti di fari ‘mprissioni
cu ‘na fumata chi ‘nta l’aria quagghia,
ni ricinu ch’è già l’Ascensioni.
Viva la santa Sceusa! E satamu;
e macari, satannu, n’abbruciamu.”

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