avìri cchiù chiffàri di lu furnu di Pasqua”, cioè avere più da fare del forno di Pasqua.

Al simbolismo originario della Pasqua come rito di rinascita della natura si riconnettono i dolci che contengono l’uovo, elemento centrale che con l’avvento del cristianesimo ha assunto in sé il significato simbolico della resurrezione e della speranza.

Nella settimana che precedeva la Pasqua, mia madre e le sue amiche impastavano semola di grano e acqua, con lievito madre (crescente), sale e tanta “giggiulena”. Mettevano a bollire uova freschissime delle galline che allevavano nel cortile. Le facevano raffreddare. Appena la pasta di pane era ben lievitata e “sbuccava” dai canovacci in cui era avvolta, allora metteva la pasta sulla spianatoia di legno, formava dei panetti e li appiattiva. Faceva una piccola conca al centro e vi poggiava l’uovo con tutta la buccia.

Lo sportello del forno a legna era aperto: dalla tavola i cannilera scivolavano dentro, sui mattoni di creta incandescenti. Lo sportello veniva chiuso.

La fornaia sapeva quanto tempo occorreva per la cottura, senza usare nessun orologio.

Tutte le donne del vicinato si mettevano in attesa con trepidazione. Chiacchieravano allegramente fino a quando l’anziana fornaia non apriva lo sportello del forno e cominciava a tirare fuori quei piccoli capolavori fumanti. Il profumo si diffondeva nel vicolo e arrivava in tutte le case. I cannilera fragranti e caldi venivano portati in casa per la gioia dei grandi e di noi bambini, che facevamo a gara per accaparrarci quel budellino di pasta attorno all’uovo .

Era iniziata la Pasqua.

Ma, nella tradizione siciliana, sono più diffuse le versioni dei cannileri dolci….Al confine tra i pani e i dolci erano “i pupi cu l’ova”, che avevano fattezze non solo antropomorfe ma anche zoomorfe, o erano semplicemente oggetti in ogni caso comunque erano di due o più uova sode. Questi pupi però ebbero una tale diffusione che il loro nome si estese anche a pani e dolci pasquali di forme diverse, il Pitrè infatti afferma che “i pupi rappresentano le maggior stranezze della fantasia con forme di bambole, pupattole, mostri, imbottiti di uova sode, lo studioso tra le varie forme si sofferma sul “russuliddu” “un chierico rosso della cattedrale di Palermo, vestito di cotta e di sottana con un bell’uovo in ventre. Molto ampia è dunque la tipologia di questi speciali pani che prendono nomi diversi a seconda della località in cui sono preparati, sono infatti chiamati “panaredda” a Favara e a Palazzolo Acreide, “campanara” a Marsala, Mazara e Trapani “cannatuni” nei paesi del Belice, “cuffitteddi” (da piccola coffa, sporta) a Buccheri, “cannilera” a Sciacca, Licata e Avola, “vaccareddi” a Castelvetrano e partanna, “cicìu cicìuliu” a Lentini e Adrano, “cannateddi” a Montelepre, “cuddura cu l’ova” Messina, “cavadduzzi” a Melilli, “purcuspinu” a Giarre e a Noto…..

Ancora oggi, chi è appassionato di cucina si cimenta a preparare i cannileri, seguendo ricette più o meno antiche, facendo anche delle innovazioni, seguendo il proprio gusto e la propria fantasia, grazie agli ottimi forni di cui dispongono le nostre cucine. Io…non lo faccio. Non sono molto brava come lo era la mia mamma. Lo fa egregiamente la mia amica Antonietta Garaffa Di Marca. Sono suoi questi magnifici cannileri salati, farciti di olive nere, pomodoro secco e altre leccornie che si possono vedere meglio nella foto in sezione. Con tanti semi vari che ne arricchiscono la superficie dorata Bontà sua se li posso assaggiare!

Ecco la ricetta di Antonietta
500 gr di farina di grano tenero
509 gr di farina di grano duro
100 gr di burro morbido
30 gr di zucchero
20 gr di sale
40 gr di lievito di birra
600 ml di latte tiepido. Mescolare con le mani o impastatrice farina e burro, unire zucchero, lievito sciolto in un po’ di latte e poi tutto il latte in ultimo il sale.
Impastare bene, fare lievitare fino al raddoppio.

Questo impasto può essere usato per varie preparazioni, tipo focacce farcite con verdure, danubio salato, trecce farcite.

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