Ci siamo già occupati della dolorosa storia della professoressa messinese Augusta Turiaco, per questo condividiamo con i lettori anche la lettera pubblicata dal quotidiano on line Tempostretto, che un alunno ha voluto scrivere alla sua professoressa che non c’è più.

Cara prof. Turiaco,

è da quando è successo che davanti a me vedo passare i ricordi più belli in tua compagnia, quegli stessi momenti in cui ti raccontavo delle mie esperienze in teatro, con i musical, e tu mi dicevi che sarebbe stato bello farli insieme, a scuola… La nostra scuola, con le Tue classi!! Ma quindi cosa deve aspettarsi adesso un ragazzino come me di fronte a questi eventi?

Se prima era il covid, da solo, a svuotare le case delle famiglie con i loro morti adesso è la scienza con i vaccini. Sì, è vero per ogni studio ci sono le casistiche, è il piccolo inconveniente che bisogna pagare per l’umanità… ci dicono. Mah! Insomma, non sono tanto convinto perché il prezzo da pagare è stato perderti professoressa, così come lo è stato per i tuoi figli e così come lo è stato per gli altri tuoi alunni; così come è successo anche in altre città, come Napoli, anche lì altri miei coetanei hanno perso la loro professoressa.

E quindi? Cosa devo fare prof. Turiaco? Tu non ci sarai più ad ascoltarmi mentre suono per te, non mi dirai più così va bene o devi fare meglio, non potrai venirmi a vedere al mio spettacolo. Ma io sono solo un tuo alunno, devo rispettare il dolore che i tuoi figli stanno vivendo ma il fatto è che tu eri talmente brava che mi facevi sentire come un figlio acquisito. La tua voce, la tua gentilezza, non li dimenticherò mai!!

Ma quindi cosa devo fare prof.? Che si deve fare adesso con questi vaccini? Come ne usciamo da questa pandemia? Se fossi stata qui mi avresti detto di non perdere la speranza, di fare ciò che è giusto fare…perché io lo so che quando tu hai deciso di fare quel maledetto vaccino, l’hai fatto perché era giusto così. Allora mi rimetto a studiare la nostra musica, non sarà più la stessa, ma non importa bisogna fare ciò che è giusto fare.

Paolo Arigò

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