Accogliere é un’arte. In casa ma anche fuori. In un negozio, al ristorante, in qualsiasi locale pubblico. L’accoglienza è l’espressione della saggezza, dell’apertura e della disponibilità. È la capacità di aprire le braccia e far sentire le persone intorno a noi a proprio agio, al sicuro, accettate e ben volute, a prescindere da ogni condizione e presupposto. Non per niente molti talk show molto seguiti in tv puntano ad assegnare dei punteggi in questo campo.

L’arte di accogliere è dunque un’abilità che non può mancare tra le competenze di un professionista, sia esso il commesso di un negozio o l’addetto alla sala di un ristorante o di un bar o pub. Eppure, come constatato di persona, sono molti quelli che ritengono superfluo questo requisito e si comportano in maniera non del tutto ineccepibile. Andiamo ad alcuni esempi realmente accaduti in città.

Iniziamo da una boutique del centro storico dove la commessa, vista entrare una donna di una certa età, senza neppure aspettare la richiesta della probabile cliente, se ne esce con questa frase: “Signora, la nostra linea non è per lei “. Immaginate l’umiliazione della signora e l’imbarazzo delle altre persone presenti in quel momento nel locale. Non pensate che avrebbe dovuto , perlomeno, aspettare che la signora formulasse la sua richiesta in merito al capo di abbigliamento che le serviva e , solo nel caso questo non fosse disponibile, scusarsi con un sorriso di non potere soddisfare la richiesta? E se quella cliente era lì per acquistare un regalo per una figlia o una nipote? La commessa, con il suo inqualificabile comportamento, ha arrecato un danno economico all’azienda per cui lavora, oltre a un danno di immagine.

Altro esempio. Questa volta si tratta di un pub molto frequentato.

Un gruppo di amiche prenotano un tavolo per le 20,30. Arrivano nel locale con un quarto d’ora di anticipo. Gli va incontro il titolare dicendo: “Il tavolo non é ancora pronto”. Silenzio assordante tra le ragazze. Lui incalza: “Fatevi un giro e tornate”. A malincuore, mortificate da quella accoglienza, si allontanano con una grande voglia di rinunciare alla loro serata e mandarlo a quel paese. Ma a quell’ora non troverebbero posto altrove. Quindi, anche se la serata è brutta, escono dal locale e vanno a fare due passi in piazza in attesa che il tavolo sia pronto. Ora, detto tra noi, non sarebbe stato più carino e professionale che lui gli dicesse di aspettare sorseggiando un aperitivo al bancone bar, magari con una entrée di benvenuto per ingannare l’attesa? Sìììì! Cose dell’altro mondo o di un altro mondo di intendere la ristorazione e l’accoglienza dei clienti.

Ma non finisce qui. Altra serata di una metà settimana. Due coppie con quattro ragazzini hanno deciso di cenare fuori. Si fermano a un ristorante sempre del centro. Si avvicina la cameriera. Guarda con fare sospetto il gruppo. Alla richiesta di un tavolo per cenare, risponde che non si accettano clienti con bambini, perché “loro” non fanno cucina pe ragazzini. I “ragazzini” hanno un’età tra i dieci e gli undici anni (n. d. r.). Come chiamare un simile atteggiamento? Lascio a voi la conclusione. 

Il verbo accogliere non solo indica un’accettazione, una disposizione positiva della nostra persona, del nostro animo o della nostra mente verso terzi, ma indica anche quella sorta di rituale, con il quale un ospite viene salutato e quindi accolto in spazi non suoi. Così come siamo soliti aprire la porta di casa e salutare gli amici che abbiamo invitato a cena, con sfumature diverse ma con lo stesso principio, dovrebbero essere accolti i clienti all’interno di un bar o di un ristorante.

Penso che di strada da fare ce ne sia davvero tanta. Soprattutto se vogliamo fare turismo in questa città. Gli episodi che vi ho raccontato non riguardavano, per fortuna, visitatori stranieri. 

n.b. Le foto sono tratte da Internet e non riguardano nessun locale della nostra città

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