Il Carnevale e i maccheroni sono un connubio storico e collaudato dalla tradizione. “A Cannalivari, si sì manciuni, manci sasizza e maccarruni”. Si sa. La festa di Carnevale, un’intera settimana, dal martedì grasso, al mercoledì delle Ceneri è un continuum di banchetti, schiticchi e grandi abbuffate. Il grande sollazzo si apriva un tempo con gli arcinoti quattro “Giovedì” che precedevano e precedono il carnevale, denominati secondo l’ordine tramandatoci dall’etnologo, Giuseppe Pitrè (1841-1916), in: “joviri di li cummari”, “joviri di li parenti”, “joviri zuppiddu”, e “joviri lardarolu” (N.d.r. giovedì delle comarigiovedì dei parentigiovedì del diavolo e giovedì grasso).

La Sicilia e Sciacca hanno mantenuto nel tempo le abitudini tramandate dalle tavolate familiari che raccoglievano in campagna tutto il parentado per la macellazione del maiale prima e la preparazione e il consumo di tutto quanto ne faceva parte: sanguinaccio, salsicce, costine, polpa, cotenna. Ci si sedeva a tavola al mattino e ci si alzava a tarda sera.

Un sugo di maiale messo a cuocere per ore andava a condire, a metà giornata, quel primo piatto che è diventato un nostro mito gastronomico: i maccheroni. A volte venivano versati sulla stessa spianatoia di legno e mangiati direttamente da lì, come in un rituale pagano collettivo.

Oggi si chiamano maccheroni al ferretto perchè per fare il famoso buco viene usato uno spiedino di legno o una ferro sottile da calza. Ma un tempo, (a casa dei miei erano una vera istituzione ) si usava la “busa”, un sottile stelo di cespuglio che cresce spontaneo nelle nostre campagne.

Con semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale, sulla spianatoia di legno si modellavano abilmente i budellini di pasta che , avvolti nella busa, bisognava sfilare piano piano, senza farli rompere, per poi sistemarli a cavallo alle canne stese tra una sedia e l’altra della stanza. Il profumo di quella pasta stesa ad asciugare era il preambolo del suo trionfo quando, dopo una mezza giornata di asciugatura, veniva calata nella pentola per essere condita , annegata nel sugo di maiale e portata a tavola.

Ve lo immaginate oggi, in un soggiorno delle nostre case, le canne stese per fare asciugare i maccheroni? Altri tempi! Quello che rimane, per fortuna, è la bontà di questo primo piatto, che si può declinare in tante varianti, ma che rimane un classico, per Carnevale, con il ragù di maiale.

E sono le comitive dei carristi a perpetuare e continuare la tradizione degli schiticchi di Carnevale. Lo fanno nei garage o nei locali improvvisati che ancora oggi, da noi, ospitano i carri in costruzione.

E’ questo uno dei presupposti principali per tenere unita la compagnia e rendere meno pesante la fatica e più sopportabile il freddo. Ogni comitiva ha il suo cuciniere che assicura piatti di pasta e salsiccia e pancetta per tutti gli addetti ai lavori. Un’eredità che continua insieme alla passione per il Carnevale. E oggi, da buoni saccensi amanti della tradizione, ci accontentiamo di quelli di pasta fresca che vengono realizzati da apposite aziende locali, ma nessuno tolga dalle nostre tavole, nei giorni delle festa, un buon piatto di maccheroni!

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