Provare a non perdere il sorriso, nonostante tutto. Provare a continuare a vivere non perdendo il buonumore. Provare a non farsi distruggere una parte fondamentale di se stessi.

Non è un consiglio a nessuno.

Non sono un insegnante, un grande saggio che dispensa saggezza. È semplicemente la realtà in cui ti ritrovi quando sei nel tritacarne e tritaanime di una malattia, quando sei costretto a consegnare il tuo corpo all’amica scienza per farne un campo di battaglia, quando tutta l’esistenza ti viene stravolta e tu sei improvvisamente dentro onde gigantesche di un maremoto che ti trascina non riuscendo ad arrestarne l’impeto perché il suo impeto non dipende da te.

Cosa fai in questi casi? Cosa ho fatto?

Questa volta ho, non so come, trovato la forza di reagire, una forza potentissima che non so da dove sia venuta. Una forza che voracemente ha preso la forza anche da altre forze che non mi hanno lasciato un attimo. Questa volta non mi sono abbattuto né mi sono fatto abbattere: ho pianto dal dolore (piango sempre), mi sono depilato, sono dimagrito, sono diventato irriconoscibile… ma ho sempre usato ogni minima energia per resistere.

Mi sono aggrappato a ogni pezzo di legno che ho incontrato galleggiante o ai salvagente che in tanti mi hanno lanciato. E sono rimasto in superficie, non sono andato a fondo, non sono stato risucchiato negli abissi. Non hai alternative: o ti aiuti e ti fai aiutare anche se non sei capace di nuotare nella tempesta o affondi. E io, questa volta, sono stato bravo (e me lo urlo senza modestia!), io questa volta sono stato un uomo, io questa volta non ho pensato solo a me. Perché se riesci a farcela, se riesci ad andare al di là del muro della gigantesca onda non ce la fai solo per te. E allora provi a non perdere la testa, a usarla, a vedere se ti può dare una mano nonostante sia ridotta a brandelli, nonostante abbia perso lucidità, freschezza, memoria.

Per non perdermi ho preteso da me di imparare a fare pure il farista, di provare a non far spegnere il faro del buonumore, alimentandone la flebile luce con l’ironia, con la positività, con la fiducia nei medici e nella medicina, con la battuta spiritosa in cui ridi solo tu, col vedere le curiose deformazioni della realtà che ti passa sotto gli occhi stravolti.

Perché nella tempesta la vita continua, esiste, ti sbatte contro. E allora se passi da Via del Fico perché non farsi una foto e farne un momento di conquista, una tappa di trapanamento del muro? La tempesta non può rubarti il sorriso degli istanti, se glielo consentiamo è finita, anzi, finisce prima.

Così è facile, troppo facile: la teoria, il consiglio verbale, il rigo evidenziato del Manuale di Sopravvivenza che devi attuare e condividere per aiutare gli altri. Ci devi passare (e non lo auguro a nessuno), lo devi vivere il momento. E lì non sai che piega prenderà, che reazione avrai. È quello che conta e non ci sono manuali che tengano. Questa volta sono stato bravo (e me lo ripeto per trovare la forza di proseguire lungo la traversata tra chi rimane indietro o sparisce) e continuo a nuotare sorridendo se mi capita l’occasione o se mi capita di crearla l’occasione. .

Raimondo Moncada

P.S. Se ancora non lo avete capito il gran figo della foto sono io. Sono andato a Bologna solo per questa foto perché per una foto si perde la testa. E perché non farsela scattare e non sorridere e gioire della posa del Gran Fico assieme alla scattatrice?
Per chi non lo sapesse, le massime autorità riunite del Comune di Bologna hanno dedicato questa via del centro storico a me nell’ottobre del 2021 (così mi piace credere) quando sono salito a nuoto in Emilia cominciando la traversata. Se vi capita, passateci e scattatevi un selfie sorridendo e pensando a me, l’uomo più fico del mondo, che fa tra l’altro rima Raimondo. Io nel frattempo mi afferro ad altri pezzi di legno galleggianti che mi vengono contro fermando la mia corsa quando sarà necessario al mio buonumore. E cerco di dare un senso alle foto d’archivio che ogni tanto vengono fuori da sole o che vado a cercare.

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