Finalmente la gravissima questione del termalismo siciliano inizia a trovare spazio sulle pagine della stampa a diffusione regionale. La coltre di silenzio che i più accreditati mezzi di informazione regionale e nazionale hanno sempre mantenuto sull’argomento si sta pian piano squarciando, almeno così sembrerebbe.

Una nuova conferma arriva dall’inchiesta pubblicata ieri 15 gennaio sul Quotidiano di Sicilia, edizione sia cartacea che online, a firma di Lina Bruno. Un’inchiesta che ha il merito di dar voce ai territori, attraverso le interviste ai sindaci di Acireale e Sciacca, e di raccontare la storia più recente del disastro termale siciliano in modo comunque non distorto, anche se inevitabilmente incompleto.

L’unica rilevante stonatura è rappresentata dall’ennesimo e goffo tentativo del duo Musumeci/Armao di legittimarsi come quelli che hanno finalmente messo mano, nel corso di questi anni e ancor più di recente, al percorso verso la riapertura e valorizzazione dei complessi termali di Sciacca e Acireale. Niente di più falso, solo fumo negli occhi, per chi conosce bene la vera storia del termalismo siciliano dell’ultimo decennio, ma ormai a questa manipolazione della verità da parte dei due massimi esponenti del governo regionale ci siamo abituati.

Pubblichiamo l’intero contenuto dell’inchiesta, che per far meglio toccare con mano l’assurda realtà siciliana ricorre al meccanismo della stridente contraddizione, con un articolo conclusivo intitolato “Benvenuti a Saturnia, dove il Termalismo è diventato il motore dell’economia locale”. Tutto quanto qui di seguito riportato (tranne le foto) è tratto da:

Terme: elemosina per Acireale e Sciacca. Ora un concreto piano di rilancio.
di Lina Bruno
sabato 15 Gennaio 2022 Gli stabilimenti sono chiusi rispettivamente dal 2014 e dal 2015, abbandonati al loro destino e vittima dei vandali

PALERMO – “ Risorse nel degrado, che potrebbero produrre ricchezza ma, al contrario, perdono valore. Potenziali attrattori turistici che senza un progetto organico di sviluppo, nessuno riesce a vedere. Come dopo un risveglio improvviso, la Regione Sicilia sembra stia iniziando finalmente a intravedere le grandi potenzialità del termalismo sul territorio, ricordando in particolare i due principali complessi termali dell’Isola, a Sciacca e Acireale, che cadono a pezzi e su cui è urgente intervenire per salvare quello che i vandali hanno finora risparmiato.

Il recente stanziamento deciso dalla Regione, pari a tre milioni di euro, può frenare il depauperamento strutturale. Meglio che niente, come si dice in questi casi, ma questi soldi non saranno certo sufficienti a riattivare gli impianti e rimettere in moto un percorso di valorizzazione con l’affidamento a privati, che i sindaci dei territori chiedono da tempo.

Una cosa di cui sono probabilmente coscienti anche il presidente della regione Nello Musumeci e il suo vice Gaetano Armao, che hanno riportato in agenda la questione Terme, non soltanto con lo stanziamento di queste risorse ma anche con una serie di altre iniziative. Oltre al seminario di metà dicembre sul termalismo con tutti gli addetti ai lavori, sono due le azioni messe in atto per questa rinnovata strategia: un Piano industriale e un Disegno di legge sul riordino del settore.

“ Il cambio di strategia – spiega al QdS il vice presidente Armao – è venuto dopo il tentativo, per i complessi di Acireale e Sciacca, di coinvolgere i privati. Non c’era però la domanda da parte delle imprese e abbiamo dovuto prendere atto che il mercato non era interessato, anche per la congiuntura Covid.

Per Acireale non c’è mai stato nessun bando, perché era inutile farlo visto che per Sciacca era andato deserto. Il dato è che siamo partiti da una situazione devastata dalla precedente gestione delle Terme: da una parte ad Acireale era in corso uno smembramento del patrimonio da parte dei creditori; per Sciacca si era fatto anche un trasferimento senza mappature catastali, una situazione disastrosa con le Terme chiuse e adempimenti non svolti. Siamo dovuti ripartire da zero, trovando l’accordo con i creditori ad Acireale e rimettendo in ordine le carte a Sciacca”.

A un documento ricognitivo sulle risorse termali in Sicilia sta lavorando un gruppo di esperti, coordinato da Rosario Faraci, docente di Economia e Gestione delle imprese dell’Università di Catania. Uno studio che dovrebbe aprire la strada a un vero e proprio business plan. Come sottolineato da Faraci un monitoraggio puntuale non è mai stato fatto e questo rappresenta quindi un passaggio essenziale per fare chiarezza su stabilimenti accreditati col Servizio sanitario, aziende termali e alberghi convenzionati. Oltre ad Acireale e Sciacca, infatti, le località in cui c’è una presenza riconosciuta di acque con proprietà curative sono Termini Imerese (Palermo), Castellammare del Golfo e Calatafimi-Segesta (Trapani), Alì Terme, Terme Vigliatore e Vulcano (Messina) e infine Montevago (Agrigento). Tra queste, solo le Terme Gorga di Calatafimi-Segesta, Acqua Pia-Montevago e Alì Terme compaiono nell’elenco di quelle accreditate per il bonus Terme.

Sarà dunque essenziale l’operato di questo gruppo di lavoro, che pensa di completare tutto nel giro di qualche mese, mentre il Governo regionale preme affinché l’elaborato possa essere consegnato prima possibile. Intanto, il Ddl approvato in IV Commissione Ambiente, presieduta da Giusi Savarino, lascia sperare che si voglia approdare a un progetto vero e proprio. Finora in Aula si è andati due o tre volte con provvedimenti tampone come le Leggi regionali 11 del 2010 e 20 del 2016, per mettere delle pezze alle due realtà di Acireale e Sciacca. Non c’è mai stato un provvedimento organico sul termalismo in generale che recepisse la Legge quadro nazionale del 2000. La Regione si potrebbe così dotare di uno strumento utile anche per i privati che vogliono sfruttare qualche concessione disponibile. I tempi però non si prospettano brevi: si dovrà avere l’ok della Commissione Bilancio per la copertura finanziaria e poi avviare la discussione all’Ars.

In questo Disegno di legge si parla anche di Distretto termale, ma un Distretto produttivo del termalismo, come ricordato da Rosario Faraci c’è, istituito ai tempi del Governo Lombardo (2008-2012), ed è tutt’ora vigente anche se non operativo e nessuno forse ricorda che esiste.

Un dedalo di competenze, una frammentazione di responsabilità in questo settore che fa riferimento ad almeno quattro assessorati: Energia per il rilascio delle concessioni, Economia per la proprietà degli stabilimenti, Salute per le prestazioni termali in regime di convenzione e Turismo qualora ci fosse un progetto complessivo con offerte diversificate di destinazioni attrezzate di servizi e strutture ricettive.

Mentre politica e burocrazia studiano le soluzioni migliori, i due complessi termali rimangono chiusi: quello di Acireale dal 2014, con ultimo fatturato di circa 373 mila euro; quello di Sciacca dal 2015, ultimo fatturato tre milioni di euro.

Con la Legge del 2010 si stabilì che, completate le liquidazioni con lo scioglimento delle due partecipate costituite nel 2006 (Governo Cuffaro 2001-2008) al posto delle vecchie aziende autonome, la Regione, con gara a evidenza pubblica, avrebbe affidato a soggetti privati “la gestione e la valorizzazione dei complessi cremotermali e idrominerali esistenti nel bacino idrotermale di Acireale e di Sciacca, compreso lo sfruttamento delle acque termali ed idrominerali…”.

Con il Governo Lombardo, nel 2011, l’allora assessore all’Economia Gaetano Armao pensò di individuare, con bando di gara, chi avrebbe dovuto scrivere il bando di privatizzazione stanziando circa 200 mila euro. Lombardo invece decise di assegnare la stesura direttamente a Sviluppo Italia, partecipata regionale che fu poi sciolta.

Bandi non pervenuti quindi, tranne qualche recente tentativo per Sciacca, l’ultimo stoppato dopo l’interesse mostrato da Inail prima e da Federterme dopo.

E intanto questi dieci anni di liquidazione sono costati alla Regione Sicilia oltre 45 milioni di euro tra le perdite accumulate dalle società e debiti. Un conto salato, difficile da digerire, se si pensa che bisogna fare i conti con un comparto che deve essere praticamente ricostruito”.

La parola al sindaco di Acireale, Stefano Alì :“Poca chiarezza sul discorso privatizzazione”

ACIREALE (CT) – Delle condizioni in cui versa lo stabilimento termale e delle potenziali opportunità di sviluppo abbiamo parlato con il sindaco di Acireale, Stefano Alì, che chiede coesione per superare gli errori del passato e iniziare finalmente a sfruttare una risorsa che potrebbe rappresentare il volano dell’economia acese.

Sindaco, sono sufficienti i tre milioni di euro stanziati dalla Regione per riattivare le strutture?

“Non sono sufficienti. Non è che dopo che saranno stati spesi questi soldi la struttura potrà diventare operativa. In ogni caso, queste risorse consentiranno di salvaguardare l’investimento patrimoniale, di non aggravare ulteriormente la condizione in cui si trovano, le strutture, abbandonate da tempo, consolidando pareti e tetti e tutelando le parti ammalorate o danneggiate dai vandali”.

Il fatto che questo stanziamento sia arrivato ormai quasi alla fine del mandato del presidente Musumeci potrebbe far pensare a un’iniziativa elettorale?

“Come sindaco ritengo sia un intervento positivo, non dà certo un valore aggiunto in termini occupazionali, ma almeno rende il bene fruibile dalla collettività. Le nostre Terme sono un luogo di qualità artistica. Non potrà riaprire l’albergo, ma il vecchio stabilimento potrà essere reso operativo”.

Cosa ha bloccato finora il rilancio del termalismo ad Acireale?

“Le Terme di Acireale sono chiuse da molto tempo, dopo una serie di commissariamenti. Quello che ha reso non funzionante il sistema è la cosiddetta Regione imprenditrice. È un modello che può funzionare fino a quando ci sono le risorse finanziarie per coprire i costi della gestione, anche quelli di un’eccedenza di personale per lo più non rispondente alle reali esigenze. Affinché funzionasse era necessario dare la possibilità di attivare un progetto industriale con il coinvolgimento dei privati. Si richiede un investimento significativo per ripartire, ma non c’è in questo momento tale interesse da parte dell’imprenditoria, che accetta di rischiare soltanto se trova condizioni favorevoli”.

Di chi sono le responsabilità?

“Non ha funzionato la gestione regionale. È chiaro che tutto il sistema ha risentito anche delle modifiche normative che sono intervenute nel tempo. Prima le Terme potevano essere fruite con delle esenzioni, delle facilitazioni per i dipendenti pubblici, finito questo non sono state più appetibili. Il pubblico, la Regione ma anche i Comuni, non sono in grado oggi di essere efficienti nella gestione di un progetto industriale. Piuttosto che alle Terme si deve andare a guardare il wellness, un circuito del benessere che si può mettere in moto. Ci deve essere una proposta più ampia”.

La Regione ha fatto promesse che non ha mantenuto?

“Se ci fosse stato un privato avrebbe almeno cercato di rendere fruttuoso un patrimonio del genere, parliamo di circa 15 milioni di euro di immobili, però oggi andare a cercare gli errori del passato, che sono abbastanza evidenti, non serve. Fin dall’inizio da parte della Regione non c’è stata chiarezza sul discorso della privatizzazione: c’erano questi commissari che avevano l’obiettivo di rendere la struttura di Acireale operativa, ma oggi è chiaro che questa idea è completamente superata. L’ha detto anche Musumeci che la stagione della Regione imprenditrice è finita”.

La parola al sindaco di Sciacca, Francesca Valenti: “Un intervento che è tardivo e contraddittorio”

SCIACCA (AG) – Non le manda a dire al Governo regionale il sindaco Francesca Valenti, che senza mezzi termini punta il dito sull’Esecutivo Musumeci, rimproverandolo di non aver mantenuto le promesse fatte sul termalismo.

La Regione ha stanziato tre milioni di euro per le Terme di Acireale e Sciacca. Saranno sufficienti per riattivare le strutture?

“No. Intanto che si stia parlando di Terme praticamente a scadenza del mandato del Governo regionale mi lascia molto perplessa, perché qualunque tipo di azione è programmatica. Tra meno di un anno si vota e non c’è nulla, a oggi, che possa essere definito entro l’anno. Già dal 2017 noi parliamo di rilancio delle Terme di Sciacca. Abbiamo un patrimonio termale che è stato riacquisito dalla Regione siciliana e già da tempo deve essere riaffidato alla gestione dei privati per una sua valorizzazione. Ci sono stati anni d’interlocuzione con questo Governo regionale, abbiamo discusso per mesi, è stata pubblicata una manifestazione d’interesse che non dava alcuna garanzia ed è andata deserta. A un certo punto ci era stato detto che si era pronti per la pubblicazione del bando, invece è arrivato lo stop perché ci hanno detto che c’era un forte interesse di Inail per l’acquisizione. A questo è seguito un tempo lunghissimo di silenzio e adesso arrivano questi tre milioni di euro divisi tra Sciacca ed Acireale. Per fare cosa? Servono per evitare che continui a essere tutto degradato? A chiudere le finestre? Un intervento tardivo e contraddittorio rispetto a tutto quello che ci siamo detti in questi anni”.

Dunque, secondo lei le promesse non sono state mantenute

“Esatto. Abbiamo partecipato a tavoli tecnici per definire gli articoli del bando. Ora dobbiamo discutere di Terme come se fosse una novità: si scopre che sono importantissime per lo sviluppo del territorio siciliano, si fa un seminario… Per noi tutto questo rappresenta uno stop e non sappiamo per quanto”.

È l’ennesimo caso di una Sicilia ricca di risorse straordinarie che non riesce a sfruttare a dovere?

“Le Terme di Sciacca sono un patrimonio unico al mondo, riconosciuto anche dagli esperti. Studiosi americani qualche anno fa mi hanno detto che abbiamo un patrimonio di stufe unico, con acque termali con caratteristiche riconosciute scientificamente per la cura di alcune patologie. Eppure abbiamo tutto chiuso, mentre ci sono altre regioni che si inventano terme che non hanno. Ci sono risvolti negativi enormi per l’economia: a Sciacca sarebbe tutta un’altra storia se si riattivasse l’impianto. Si potrebbe innescare un indotto di cui beneficerebbero anche i territori vicini. Stiamo facendo di tutto per promuovere il territorio dal punto di vista turistico, con eventi di ogni genere, ma poi abbiamo l’oro a portata di mano e lavoriamo con il bronzo”.

Crede sia un limite che la struttura faccia parte del patrimonio regionale?

“Direi di sì. Quella dell’Inail a me era sembrata una soluzione per superare il pachiderma che è la Regione siciliana. Anche il Comune è un mini pachiderma: la burocrazia degli Enti pubblici non è sostenibile. Si parla di semplificazione, ma è tutto sovrastato da tempi e procedure infinite. Non è un’accusa: nel piccolo lo subisco e lo vivo quotidianamente come sindaco”.

Benvenuti a Saturnia, dove il Termalismo è diventato il motore dell’economia locale

MANCIANO (GR) – In Italia ci sono 325 stabilimenti e alberghi termali con una capacità di trentamila posti letto per un fatturato annuo di 765,5 milioni di euro (dati Federterme 2019). La Toscana è una delle destinazioni preferite, basti pensare che il cosiddetto Bonus Terme, il sostegno per il rilancio del settore che ha sofferto le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, ha prodotto in quella regione centomila prenotazioni sulle quattrocentomila richieste attivate in tutta Italia.

Tra le più prestigiose ci sono le Terme di Saturnia, a Manciano, in provincia di Grosseto, un centro di circa settemila abitanti. Utilizzate già nell’antichità dai romani, ebbero una prima struttura organizzativa nel 1865, quando Bernardino Ciacci bonificò la fonte, ristrutturò gli edifici preesistenti e diede vita allo stabilimento termale. Nei primi del Novecento fu edificato l’albergo ed eseguite le analisi complete delle caratteristiche chimiche dell’acqua. Nel 1978 la Regione Toscana autorizzò l’apertura permanente del centro con attività balneo-fangoterapiche e dette inizio così al percorso che ha portato le Terme di Saturnia a ottenere la fama mondiale di cui oggi godono.

C’è la struttura principale, gestita da un grande gruppo imprenditoriale, composta da un Resort con hotel 5 stelle, Spa & Beauty clinic, il Club, il campo da Golf e il Parco termale. A questo si deve aggiungere un complesso più piccolo, più di nicchia ma in espansione, e poi le cascate libere del Gorello. Intorno a tutto questo ruota l’attività di tantissime strutture ricettive tra agriturismi, alberghi, B&B e case vacanze. Tutto nel comune di Manciano. Abbiamo voluto parlarne con il sindaco, Mirco Morini.

Quanto pesano le Terme di Saturnia sulla vostra economia locale?

“L’economia una volta si basava sul piccolo commercio e l’agricoltura. Oggi prende linfa dal termalismo e da tutto l’indotto che crea. Sono sorte oltre 230 strutture ricettive a Manciano con 4.500 posti letto. Il turismo termale è determinante e ormai copre quasi tutto l’anno. Affiancata al complesso più importante è sorta anche un’altra struttura molto più piccola, che sta crescendo con un progetto di sviluppo importante”.

Qual è l’impegno del Comune?

“Accanto alla struttura principale, dove c’è la sorgente con una portata d’acqua a 37° e 450 litri al secondo, abbiamo le cascate naturali del Gorello, che ci invidia tutto il mondo. Sono di libera fruizione: abbiamo creato ad agosto un’area di sosta temporanea a pagamento, iniziativa che oltre a dare ordine e sicurezza ci sta dando importanti introiti. C’è un flusso tutto l’anno di migliaia di persone: è un turismo mordi e fuggi, che crea anche molta pressione sul sito e che magari bisogna regolamentare. Ma abbiamo molto migliorato la viabilità e ci sono lavori per migliorarla ancora. L’unico handicap è rappresentato dalla ferrovia, a trenta minuti di macchina”.

Che ruolo ha avuto la Regione Toscana nello sviluppo del termalismo?

“La Regione c’è stata sempre molto vicina ed è collaborativa. È impensabile che una ricchezza così fondamentale, su cui si sviluppano occupazione ed economia non venga sostenuta adeguatamente. La Regione è da sempre sensibile su questi temi”.

Il Comune ha introiti diretti dalle concessioni?

“Abbiamo le entrate delle concessioni termali che quest’anno abbiamo cercato di contenere per via dell’emergenza sanitaria. Siamo venuti incontro alle società che hanno la gestione e lo sfruttamento. Le sorgenti sono del Comune, che a suo tempo ha concesso l’utilizzo alle società con un contratto stipulato e rinnovato poi nel 2012 da un commissario prefettizio. Sono sindaco dal 2017, quindi è una convenzione che mi sono trovato, che ha la durata di 25 anni e magari andava scritta diversamente. Abbiamo una risorsa imponente nel sottosuolo, che consideriamo di grande valore e va salvaguardata”.

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