BETTU AMMAREDDU LU NOSTRU PISCATURI PINZAVA A TINA, LU SO PRIMU AMURI. PRIMA DI ISARI VELA IDDA CI DISSI TI RUGNU STA MIDAGGHIA PI RICODDU, IU TI PRUMETTU CHI GIAMMAI TI SCODDU. SUPRA LA PUPPA RIPINZANNU A TINA, LA BEDDA MARINARA SCIACCHITANA, BETTU TINIA NMANU LA CATINA CU DA MIDAGGHIA, NA JURNATA SANA. MA NA MATINA VA PI MANUVRARI E LA MIDAGGHIA CI CARIU A MARI. BETTU AMMAREDDU ALLURA SI SPUGGHIAU E A TESTA NFUNNU A MARI SI ITTAU. SCINNIU, SCINNIU NFUNNU A LU MARI, MMEZZU LI SCOGGHI E LI STIDDI MARINI, MISI TUTTU LU FUNNU A SBUTULIARI E MENTRI ASSICUTAVA UN PISCI CADDU CI VINNI NMANI UN PEZZU RI CURADDU.
Questi versi, tratti da una poesia di Vincenzo Licata, ci riportano al personaggio di Bettu Ammareddu, giovane pescatore sciacchitano che ha perduto in mare la catenina con la medaglietta donatagli dalla sua amata Tina e che, immergendosi nel tentativo di ritrovarla, fa la straordinaria scoperta del corallo di Sciacca.
C’è tuttavia un altro Bettu Ammareddu, quello raffigurato nel pannello di ceramica realizzato nella bottega di Nino Cascio e che era stato a suo tempo collocato sul muro della casa che sovrasta l’inizio della discesa di Via San Paolo, anche lui immortalato nell’atto di esplorare i fondali marini alla ricerca della collanina perduta, che invece ha perduto forse definitivamente la strada di casa.
Quel pannello di ceramica in cui il nostro Bettu riviveva fu tolto dalla sua iniziale collocazione e non è più ricomparso.
“Si piddiu Bettu Ammareddu!” hanno gridato i suoi concittadini, invece di quel trionfale “Bettu Ammaraddu attruvau lu curaddu”con cui si conclude la lirica del poeta Licata.
Per la verità il Bertu Ammareddu sperduto qualcosa ci ha lasciato: l’impronta del suo pannello di ceramica ancora tratteggiata sul muro, malinconicamente illuminata da una luce a neon che vi era stata appositamente collocata per dare visibilità alla ceramica scomparsa.
La rimozione risale a circa cinque anni addietro, nel periodo a cavallo tra l’amministrazione Di Paolo e Valenti: alcune mattonelle della fascia superiore si erano staccate per l’umidità sottostante, a seguire erano intervenuti i Vigili del Fuoco e la squadra di pronto intervento comunale. Si era ritenuto opportuno staccare l’intero pannello, ormai compromesso nella sua interezza e per il pericolo che qualche altro pezzo si staccasse. Le mattonelle di ceramica rimaste integre dopo questa rimozione forzata, circa una metà della parte inferiore, erano state depositate in un’apposita cassetta e portate via.
Forse buon senso avrebbe voluto che si consegnassero direttamente al ceramista che aveva realizzato il lavoro, per verificarne il possibile rifacimento, ma il buon senso nella nostra città raramente è di casa, ragion per cui il ceramista non è mai stato interpellato.
Ciò che era rimasto del nostro povero Bettu Ammareddu venne invece depositato nei fondali di un magazzino comunale, dove è rimasto per tutti questi anni nell’oscurità di un anonimo contenitore così diverso da quei fondali marini animati da scoglie e stelle marine che il nostro illustre pescatore sciacchitano amava praticare.
Abbiamo effettuato una rapida ricerca e possiamo confermarvi che ciò che rimane di questo pannello di ceramica è ancora lì, in quel magazzino comunale.
Ci è stato riferito di difficoltà frapposte dal proprietario dell’abitazione sul cui muro esterno il pannello era stato a suo tempo collocato, ci è stato anche detto che l’ultimo discendente di Bettu Ammareddu si era dichiarato disponibile ad accogliere il pannello sulla propria abitazione di via Caricatore.
Ma se proprio si volesse scrivere la parola “fine” a questa piccola storia sciacchitana, basterebbe riportare il tutto al ceramista che aveva realizzato l’opera, per verificarne la possibilità di un ripristino, e poi certamente non sarebbe un problema trovarvi una collocazione anche nuova nel quartiere dei marinai.
E poi, anche, ricordarsi di spegnere quella luce a neon che illumina l’impronta di un pannello che fu.