Tra i tanti post che su facebook celebrano la vittoria degli Azzurri agli Europei di calcio, ho scelto quello di un’amica di ServireSciacca, Stefania Zuini, non solo per un fatto strettamente personale ma anche perché focalizza in modo semplice ed efficace alcuni aspetti nobilitanti che vanno ben al di là del gioco del calcio:

“Voglio spendere due parole sull’incontro di ieri a modo mio (quindi non a livello tecnico) non perché abbia un interesse particolare, ma perché è qualcosa che alla fine anche se non più appassionata (non conoscevo nemmeno un giocatore…) “mi riporta indietro” a livello affettivo.

Sono passati anni da quando ho smesso di seguire il calcio e andare allo stadio, da quando papà se n’è andato.

Ma papà era quello che questo sport me lo ha fatto apprezzare dal punto di vista umano. Mi parlava del senso di squadra, dell’attaccamento alla maglia come quello di un Baresi o Maldini o altri. Mi parlava di “testa” e mi faceva notare quale differenza questa facesse tra i vari giocatori.

Mi aveva fatto notare ad esempio la crescita personale di un Gullit, arrivato a Milano con la camicia Hawaiana, le treccine e la chitarra sulle spalle e poi sia diventato un professionista che in campo si divertiva, ma ci credeva e ci metteva impegno e sudore. Si, lo avete capito, papà era milanista.

Ma non solo.

Mi parlava della sua “simpatia” per il Cagliari, perché non necessariamente bisogna tifare le squadre che vincono, perché bisogna anche saper perdere.

Proprio per questo, se devo spendere due parole anche sul gesto inglese di levarsi la medaglia alla fine della partita lo definirei poco rispettoso per chi, come il mio papà e per come la vedo io, piace ancora lo “sport dei valori”.
Perdere fa male, soprattutto di fronte ai propri tifosi e a milioni di spettatori di tutto il mondo, ma quelle medaglie dimostrano che avete avuto la possibilità di inseguire un sogno e di vivere un’esperienza che in tanti nella vita non vivranno mai.
Bisognerebbe imparare a dare dignità alle sconfitte, soprattutto quando sappiamo di aver dato tutto.

Competere, dal latino “cum” e “petere”, in origine, non significa affatto vincere su un altro ma “andare insieme verso un medesimo punto”.
Ogni tanto, al giorno d’oggi dove si tende a “competere” (nella sua accezione negativa) per tutto, è fondamentale ricordarlo.

Per ciò che riguarda l’allenatore italiano volevo ricordare che quando ha preso in mano questo “gruppo di ragazzi” (termini scelti apposta) non partiva da una bella situazione. Lui ha creduto comunque nei “suoi”, dicendo che riformando “lo spirito di squadra” avrebbero potuto lavorare bene. Penso che gestire le dinamiche di un gruppo, specie se ormai lese nella positività, sia la parte più difficile. Il resto è allenamento tecnico.

E ieri sera, ho visto questo nella squadra italiana.

I due signori che alla fine si sono abbracciati, Mancini e Vialli, fanno ancora parte di quel calcio che papà mi raccontava ed è stata per me la scena più bella: primo perché sono due persone che in passato si sono trovate anche uno contro l’altro e magari lo sono anche ora caratterialmente, ma ciò non gli ha impedito di portare a casa un risultato insieme; secondo, perché uno dei due ha vinto insieme non solo ieri sera, ma anche nella vita combattendo un brutto male. E questo forse annulla tutto.

Questo per me è lo sport del calcio.
Ed è da questo calcio che dovremmo ripartire e imparare di più ad essere “squadra” e “competere” (nella sua più significativa espressione ) anche come persone”.

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