di Massimiliano Jattoni Dall’Asén (Corriere della Sera)

Il quinto quesito referendario propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza richiesto agli stranieri extracomunitari per ottenere la cittadinanza italiana. Cosa sapere prima del voto.

Con il referendum dell’8-9 giugno 2025, gli italiani sono chiamati a esprimersi su un quesito referendario che potrebbe segnare una svolta significativa nella legislazione sulla cittadinanza: la proposta di ridurre da 10 a cinque anni il periodo di residenza legale necessario per richiedere la cittadinanza italiana.

La riforma proposta dal quinto quesito referendario riguarderebbe almeno 2,3 milioni di persone che vivono e lavorano in Italia e punta a tornare alla situazione precedente al 1992, anno in cui il governo Amato introdusse i 10 anni sull’onda emotiva dei primi sbarchi di migranti a Lampedusa.


Per capire bene di cosa tratta il quinto quesito, dobbiamo prima di tutto partire dal testo, che recita: «Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?».

Chi voterà «sì», abrogherà la legge in vigore dal 1992, che ha previsto 10 anni prima di chiedere la cittadinanza, chi voterà «no» lascerà le cose come stanno.

In realtà, come proveremo a spiegare qui sotto, a causa della burocrazia e dei tempi concessi al Ministero dell’Interno, oggi i tempi per chi chiede la cittadinanza sono molto più lunghi di 10 anni.

La situazione attuale
Attualmente, la legge italiana sulla cittadinanza (la legge n. 91 del 1992), stabilisce che uno straniero proveniente da un Paese extra Ue debba risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni prima di poter presentare domanda di cittadinanza. Questo termine rappresenta la regola generale ed è tra i più lunghi in Europa.

Il quesito vuole ripristinare la legge in vigore fino al 1992
Scendendo nel dettaglio, la proposta si prefigge di modificare l’articolo 9 della legge 91, che ha alzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia necessario per poter presentare la domanda di cittadinanza. Di fatto, «il quesito referendario chiede di ripristinare la legge che è stata in vigore in Italia per 80 anni», spiega Paolo Bonetti, professore di Diritto costituzionale e Diritto degli stranieri all’Università Milano-Bicocca e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «Il requisito dei cinque anni era infatti previsto dalla legge già nel 1912, in pieno periodo liberale e ha attraversato l’Italia fascista e quella repubblicana. Solo nel 1992 si è modificata la legge in senso discriminatorio, quando si decise di ridurre il termine di cinque anni a quattro per i cittadini Ue, a tre per i discendenti dei cittadini italiani, ma di aumentarlo a dieci per gli stranieri extra Ue». Per il professor Bonetti, quella del 1992, quindi, «fu una scelta in controtendenza anche rispetto alla lunga storia migratoria italiana».

Il quesito non introduce alcun automatismo
E’ importante ribadire che il quesito referendario per l’abrogazione della legge del 1992 non prevede alcuna acquisizione automatica della cittadinanza
, questa infatti continuerebbe a essere concessa su domanda dell’interessato, corredata da una notevolissima documentazione e da una serie di altri requisiti:

– l’aver superato la prova di lingua italiana;
essere in possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo del reddito necessario per essere esenti dal ticket sanitario (circa 8.200 euro);
– il non avere condanne per reati medio-gravi, né in Italia, né all’estero;
aver pagato le imposte dovute negli anni precedenti;
– disporre di una situazione che non crei pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. 
Ma anche dopo aver dimostrato tutto questo, «c’è comunque un lungo procedimento amministrativo, la cui durata per legge può arrivare fino a tre anni e di solito il Ministero dell’Interno questi anni se li prende tutti», prosegue Bonetti. E anche in caso di accoglimento non è finita qui: «ci vogliono altri sei mesi prima di poter fare il giuramento di lealtà alla Repubblica e osservanza della Costituzione», chiarisce il professore. «Quindi, attualmente si devono attendere 13 anni e mezzo per avere la cittadinanza. Il quinto quesito del referendum, dunque, farebbe scendere l’attesa a 8 anni e mezzo». Tempi, dunque, molto più lunghi di quelli che si riscontrano nei principali Paesi Ue.

I minori: i benefici dell’abrogazione
«L’auspicata abrogazione avrebbe conseguenze importanti sull’attivazione di una clausola della legge sulla cittadinanza, quella dell’Art. 14, che consente a chi l’ha ottenuta di poterla trasmettere automaticamente ai propri figli minori conviventi in Italia». La riduzione dei tempi, dunque, aiuterebbe il processo di integrazione di questi minori. «Da pochi giorni», chiarisce ancora Bonetti, «questa norma è stata ulteriormente modificata prevedendo un requisito di permanenza minima in Italia per questi bambini di almeno due anni» Attualmente, nelle scuole italiane abbiamo circa 900 mila ragazzi, secondo le statistiche del Ministero dell’Istruzione, che risultano stranieri, «di cui 600 mila già nati in Italia», prosegue Bonetti. Se abrogassimo la legge del 1992, si aprirebbe una via più facile per questi ragazzi per diventare e sentirsi italiani e integrati». La modifica proposta potrebbe facilitare, dunque, l’integrazione degli stranieri che risiedono stabilmente in Italia, riconoscendo il loro contributo alla società italiana e promuovendo una maggiore inclusione sociale». Inoltre, come detto, rappresenterebbe un passo in avanti «verso una legislazione più in linea con le pratiche di altri Paesi europei, dove i periodi di residenza richiesti per la cittadinanza sono spesso più brevi».

Come funziona negli altri Paesi
Ma come funziona negli altri Paesi? «La Francia, ad esempio, prevede la concessione della cittadinanza dopo 5 anni di residenza fin dal 1790», spiega il professor Bonetti. «Stessa durata anche per Regno Unito, Paesi Bassi e Germania; quest’ultima ha cambiato la legge nel 2024 e, addirittura, consente l’acquisizione dopo solo 3 anni per chi ha un’integrazione più riuscita. La Spagna, invece, prevede 10 anni come l’Italia, ma li riduce a 2 anni per i latinoamericani ispanofoni, che costituiscono l’80% della sua immigrazione».

Le reazioni politiche
La proposta ha suscitato dibattiti tra le forze politiche italiane. Partiti come +Europa, i Radicali Italiani e il Partito Socialista Italiano hanno sostenuto l’iniziativa, vedendola come un’opportunità per promuovere l’integrazione e riconoscere i diritti degli stranieri che contribuiscono alla società italiana. D’altro canto, forze politiche come Noi Moderati hanno espresso preoccupazioni, ritenendo che una riduzione del periodo di residenza potrebbe non garantire un adeguato radicamento degli individui nella società italiana. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e il presidente del Senato Ignazio La Russa hanno invece invitato apertamente gli elettori all’astensione.