
Domani, 23 maggio, alle 20:30 nella sala degli Archi, andrà in scena “Medea. Arcana opera in canto” della compagnia “Teatro libero” di Castelvetrano, per il quarto appuntamento della rassegna “Teatro in Badia” organizzata da Teatroltre.
In scena: Roberta Scacciaferro, Manuela Lombardo, Giovanna Russo, Aurora Di Nino, Matilde Fazio e Giacomo Bonagiuso, che ha curato anche la regia.
La rassegna proseguirà il 29 maggio con uno spettacolo che vuole ricordare le vittime delle Heysel 40 anni dopo. Salvatore Venezia e Annarita Maretta porteranno in scena “Quando cade l’acrobata, entrano i clown” di Walter Ventroni, con la partecipazione speciale delle “Erberomantiche”.
Gran finale il 7 e l’ 8 giugno con la nuova produzione di Teatroltre “L’ uomo, la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello con la regia di Gianleo Licata.
Qualche informazione in più sullo spettacolo “Medea. Arcana opera in canto” tramite le note di regia di Giacomo Bonagiuso.
Perché riscrivere una Medea oggi?
La tragedia di Medea è una tragedia esemplare.
Euripide scrive e mette in scena una trama che non ha soluzione, uno scontro tra irragioni che conduce all’epilogo estremo.
Medea che, straniera, cerca vendetta e giustizia, mischiando il sapore dell’una nel colore dell’altra, e (s)cambiando la carne dei figli per carne dell’empio Giasone, al punto di negarne anche il corpo per le esequie, descrive in modo magistrale ciò che il teatro greco ha consegnato alla contemporaneità.Dall’assunto che la tragedia mette in scena l’irrisolvibile, siamo stati tentati a tradurre questa insidia sullo sfondo di una questio irrisolta per antonomasia: la questione meridionale.
Perché scrivere una Medea in lingua madre (siciliano arcaico)?
La lingua è espressione di un contesto, e di uno sfondo. Abbiamo pensato a riscrivere la Medea nelle viscere della irrisolta questione siciliana, ambientandola nell’epoca principe in cui tale questione è nata: il risorgimento e il conseguente mitologema garibaldino.
È in questo contesto di ferita storica che abbiamo riscritto Medea, che è l’opera principe che mette in scena il tema dello straniero. Medea, siciliana, si innamora di un ufficiale garibaldino e si sradica da terra, cielo, lingua e canto, per trovare terre, cieli, lingue e canti diversi, inconciliabili, nemici.
Perché una Medea musicale e cantata?
Che l’opera sia cantata è una derivazione necessaria delle scelte fatte. Prima un omaggio ad Euripide e alla tragedia, che cantata era, e non prosastica, e poi un sugello dello scontro linguistico tra Giasone e Medea che si fa scontro tra la ragione di Gorgia e quella di Carlo Martello, tra la musica a canone di matrice d’Oc e d’Oil e la tamurriata meridionale. Lo scontro tra Medea e Giasone, irrisolvibile, si fa pretesto per uno scontro tra lingua e tra canto.
Ecco, in sintesi estrema, le ragioni di questo testo, di questa riscrittura e di questa ricerca teatrale da parte di una compagnia giovane e giovanissima e di un regista che ha fatto della provincia il luogo di elezione del proprio