Riceviamo da un amico nostro lettore, notaio Franco Raso, l’articolo che segue e che assai volentieri pubblichiamo:

Anno Domini 1903. Dopo 25 anni di mandato papale moriva a Roma il Pontefice LEONE XIII (al secolo cardinale Gioacchino Pecci) uomo illuminato ed innovatore, sostenitore dell’attività pastorale anche in campo sociopolitico, autore della nota enciclica “Rerum novarum” che costituì il fondamento teorico della dottrina sociale cella chiesa cattolica e rappresentò la risposta della Chiesa sulla questione operaia.

All’apertura del Conclave, tra i più favoriti a salire sul Soglio di Pietro risultava il Cardinale palermitano Mariano Rampolla del Tindaro, nominato a soli 44 anni Segretario di Stato da Papa Leone XIII, considerato a pieno titolo uno dei diplomatici più abili della Santa Sede ed ispiratore delle posizioni politiche papali più intransigenti nei confronti delle grandi monarchie europee.

Dopo le prime due votazioni, le sue oppurtunità si accrebbero ulteriormente stante che la candidatura alternativa del Cardinale Gotti era sfumata. Il quarto scrutinio vide il Cardinale Rampolla in vantaggio sul nuovo avversario, Cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia.

Ma inaspettatamente, al quinto scrutinio, il Cardinale polacco Puzyna spiazzò tutto il collegio cardinalizio dando lettura del messaggio di “veto” pervenuto dall’imperatore d’Austria e di Ungheria, Francesco Giuseppe. 

Lo “Jus Esclusivae” era un antico e desueto privilegio di cui l’imperatore austro-ungarico godeva sulla nomina del Papa, ma fino ad allora non era stato mai esercitato. 

Un episodio drammatico che cambiò la storia della Chiesa e che segnò per sempre un Conclave, l’ultima interferenza delle potenze civili sull’autonomia e sull’indipendenza dell’alto ministero della Chiesa Cattolica.

Non appena eletto, il nuovo Papa Pio X (cardinale Giuseppe Sarto), con uno dei suoi primi atti formali abrogò definitivamente il “veto” delle monarchie cattoliche sulle nomine papali, ma non riuscì ad evitare, con una forte ed incisiva azione diplomatica, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

I quotidiani siciliani dell’epoca (Giornale di Sicilia, La Sicilia e L’Ora) seguirono con particolare attenzione l’evolversi del Conclave del 1903, dedicando al favorito Cardinale Rampolla diverse prime pagine ed aggiornamenti, pubblicandone alla fine anche le parole di commiato dopo la mancata elezione: “Deploro vivamente la gravità dell’oltraggio inferto da una Potenza laica alla libertà della Chiesa ed alla dignità del Sacro Collegio e protesto energicamente. Quanto alla mia umile persona, dichiaro che niente di più onorato e di più gradito poteva avvenirmi”.

Lo scorso Venerdì Santo, due giorni prima della morte di Papa Bergoglio, dopo aver partecipato al Pellegrinaggio attraverso la Porta Santa, sono entrato nella Sagrestia della Basilica di San Pietro ed ho rivisto il blocco marmoreo che ricorda il passaggio terreno del Cardinale Rampolla.

 Questa storia incredibile, che potete approfondire su tutte le fonti mediatiche su Internet e sul libro di Orazio Longo “Il Papa mancato”, mi è stata raccontata la prima volta dalla sorella di mio padre Pina Raso, che nel 1965 aveva sposato un Mariano Rampolla del Tindaro, pronipote del famoso Cardinale palermitano. 

La memoria di quel racconto ed il rammarico di non aver potuto vantare un pro-zio sul Soglio di Pietro, oggi – con la nomina del Cardinale Prevost a Papa Leone XIV – mi ha fatto riflettere su cosa sarebbe potuto accadere (o forse è meglio dire “cosa si sarebbe potuto evitare”) con la nomina del Cardinale Rampolla alla massima carica vaticana. 

E’ verosimile ritenere, come le cronache del tempo e gli studi successivi riportano, che se fosse stato eletto Papa il Rampolla avrebbe assunto il nome di “Leone XIV” per dare un segno forte di continuità del mandato pastorale del suo predecessore, di cui fu il grande ispiratore.

Ed allora oggi, sul Soglio di Pietro, avremmo PAPA LEONE XV, che avrebbe il peso di rinvigorire non solo l’impegno di mediazione della Chiesa sulle irrisolte questioni sociali, ma anche l’indispensabile attività diplomatica che ponga fine ai devastanti conflitti mondiali.

E se l’incontro tra Trump e Zelensky sotto le navate di San Pietro ne fosse l’incipit, forse allora saremmo sulla buona strada.