A dieci anni dalla sua scomparsa, vogliamo ricordare Vincenzo Nucci con le parole di Giovanni Bonanno e di Philippe Daverio da lui conosciuto nel 1991 e che fu suo grande estimatore, alla pari di Vittorio Sgarbi, Aldo Gerbino, Marco Goldin e altri notevoli critici e curatori di mostre che furono ospitati a Sciacca in quella stagione di fermento culturale che vide in Enzo Nucci un appassionato animatore culturale della città nei primi anni ’80 e 90. In qualità di assessore alla cultura prima e consigliere comunale poi, Nucci infatti diede vita a una stagione nella quale Sciacca riuscì a imporsi all’attenzione nazionale, per la qualità degli artisti invitati ad esporvi e dei critici chiamati a presentarli.

Così Daverio :”La mano con regolarità lascia segni di colore che si richiamano sulla tela come nel tempo, col pastello o con l’olio talmente similari ormai che si fatica talvolta nelle riproduzioni a capire quale mezzo abbia usato…

Diventano fondamentali così elementi singoli che si replicano, scorci di architettura, quell’architettura siciliana che proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell’infinito della luce e nella percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al sole il colore della loro identità mediterranea. Su tutti troneggia la palma, esaltazione del barocco per eccellenza, non di un barocco temporale ma di un barocco perenne che é voluto dalla natura appunto, quelle della terra, delle piante e pure quello della mente umana che lì si forma e vive.

E Giovanni Bonanno: “Quella di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di Nucci la luce è l’unica certezza, la vera presenza che può  tentare di svelare la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione  in cui il sale per strano sortilegio s’impasta con i  delicati ricordi  del passato e con il sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in  apparizioni misteriose, sfuggenti.