Ostaggio per mezz’ora, all’uscita dal Palazzo comunale di Sciacca, di un gruppo di ragazzi scout in missione (nel linguaggio scout: missione di squadriglia).
Mentre si chiude il cancello, mi si avvicinano con una bandiera in mano (nel linguaggio scout: guidone di squadriglia).
“Ma è chiuso?”, mi chiedono.
“Sì, da poco”, rispondo. Vi serviva qualcosa?”
“Cercavamo il signor Moncada”.
“Chi?”
“Il signor Raimondo Moncada”.
“Sono io”.
“E allora con lei dobbiamo parlare”.
“Ho fatto qualcosa?”
“Ci hanno detto di parlare con lei. Le dobbiamo fare qualche domanda”.
Sono ragazzi in tenuta scout, in pantaloncini (ma come fanno con questo freddo!?). Sono una decina: età dai dieci ai sedici anni. Hanno in mano due fogli pieni di inchiostro.
“Non possiamo fare un altro giorno? Mi aspettano a casa…” propongo.
“Solo oggi. Non possiamo rinviare, è la nostra missione”.
Il caposquadriglia, il più grande d’età, mi fa leggere i fogli che ha in mano. Sono pieni di domande, molto impegnative, su Sciacca, la sua fisicità, le sue caratteristiche, la sua anima, il passato, il presente, il futuro.
“Ma qui ci vuole gente competente”, dico, “che dia risposte anche tecniche, precise”.
Non voglio fare brutta figura. Uno di loro è pure armato di taccuino e penna, davanti a me, pronto a prendere appunti. Non riesco a fare un passo oltre l’ingresso del comune perché sono circondato. E allora, non avendo scelta, rompo gli indugi e mi lancio.
“Pronto, andiamo”.
Loro, i ragazzi, che scopro poi essere di Menfi, portano a termine la loro missione; io porto a termine la mia, superando il timore di uno stringente interrogatorio. Alla fine, col sorriso, ci scattiamo una foto ricordo, di un incontro che ci ha arricchiti entrambi con l’impegno di approfondire sui libri.
Grazie per avermi preso amichevolmente in ostaggio.
Raimondo Moncada
www.raimondomoncada.it