Il bacio e l’abbraccio del piccolo nipote al nonno poeta con le lacrime agli occhi e con la difficoltà a tirar fuori qualche ormai compromessa parola. Così si è conclusa la presentazione del libro di Lorenzo Raso Quatraria/2 nella sala conferenze della biblioteca comunale di Sciacca “Aurelio Cassar” dentro un Palazzo Lazzarini dipinto dalla vitalità delle tele dell’artista brasiliano Menelao Sete.

Nonno Lorenzo non è più riuscito a intervenire per come avrebbe voluto, preso dall’emozione durante la lettura del suo ultimo componimento dedicato al Venerdì Santo, alla Pasqua, alla prossima festa, con una preghiera-grido-appello a Dio a scendere di nuovo sulla terra e a liberarla da ogni male, da ogni ingiustizia.

Ci siamo emozionati assieme, e non so se si è capito. Stavo cedendo proprio sull’ultimo brano. Mi si è chiusa la gola e ho avuto grande difficoltà a leggere gli ultimi versi della preghiera e ho dovuto usare delle forze di riserva, nascoste, per sopperire alle energie cancellate da quello stato che si appropria di te quando ti lasci coinvolgere eccessivamente da quello che leggi, da quello che interpreti facendolo divenire tuo. È il rischio che corrono ogni volta gli attori quando sono sulla scena, nonostante la preparazione, l’esercizio o quella che si chiama professionalità. Vanno al di là della cosiddetta finzione. E di finto a Palazzo Lazzarini ieri pomeriggio non c’è stato niente. Ci siamo tutti lasciati tutti andare a uno spontaneo fluire di genuine emozioni tributando un meritato omaggio all’amico poeta.

Non mi sono accorto della faccia bagnata di Lorenzo Raso, seduto un po’ distante da me e nascosto ai miei occhi da Pietro Mistretta mio compagno di fianco e di banco. È stato il gesto del nipotino, accompagnato dalla nonna, a farmi accorgere della trasformazione in volto dell’amico poeta. Vedendo il nonno in difficoltà il bambino si è alzato dalla sua sedia in prima fila, lo ha raggiunto e lo ha tirato su con un bacio e parole di conforto.

Anche io sarei letteralmente squagliato e avrei chiesto almeno un giorno di time-out: basta, così è troppo!

È stata questa la giusta conclusione di una serata-omaggio a un poeta, uno scrittore, un amante del dialetto, un attento e sensibile osservatore della realtà sociale e politica, uno dei più longevi copionisti del Carnevale di Sciacca con i suoi, se non ricordo male, oltre quaranta copioni carnascialeschi (in pratica ha iniziato a scrivere per Carnevale appena nato! O dentro la comoda culla).

A condurre la presentazione è stato il giornalista e poeta Calogero Parlapiano, della Melqart Communication che si è occupata della pubblicazione del volume. Sono quindi stati chiamati a intervenire il sindaco Fabio Termine e il già citato presidente dell’associazione L’Altrasciacca Pietro Mistretta alla presenza di un bel pubblico.

A me, giurgintano con Sciacca e gli amici saccensi nel cuore, il compito di dare voce alle composizioni dialettali di Lorenzo. Ma prima di aprire bocca ho chiesto perdono al pubblico presente e a chi da casa seguirà in differita l’evento culturale dagli schermi di Tele Radio Monte Kronio con le riprese del mio amico Juventino Michele Torrente.

Ce la metterò tutta, ho detto. Sciacca è diventata la mia città che provo a vivere nella sua anima profonda, ascoltandone ogni sera la voce nel silenzio della notte. Ma la mia lingua è il giurgintano di Pirandello e non posso permettermi di scimmiottare quella vostra che ha altri suoni, altre melodie, altre parole, altre caratteristiche, altro fascino. Voi dite ad esempio “liccari la sadda” con due “d”, io dico “sarda” con quella erre che voi mangiate (io preferisco mangiare l’intera sadda!). Ma nella mia lingua nativa, facente parte di me dalla nascita e che tanti problemi mi ha creato a scuola, cercherò di restituire almeno il sentimento di un uomo che scrive quel che vive e vive quel che scrive e lo scrive con un idioma che è stato portato alle stelle dall’immenso poeta-gabbiano Vincenzo Licata a cui Lorenzo ha pure dedicato un omaggio in versi assieme ad altre importanti personalità.

Un patrimonio, è stato detto, sia l’autore sia i suoi lavori sia la lingua che ci hanno consegnato in eredità i padri, così mortificata un tempo a scuola a colpi di voti bassi e riscoperta da alcuni anni con progetti super finanziati o semplicemente grazie a dirigenti e insegnanti illuminati e appassionati, per salvarla, valorizzarla, tutelarla perché non è solo un patrimonio d’archivio, perché dentro c’è la vita della nostra stessa storia, del nostro DNA.

I marinai quando uscivano a mare con i remi e poi con le vele pregavano in italiano? I carrettieri che ritornavamo carichi o scarichi dalle campagne cantavano in italiano? E lo stesso gli innamorati che cercavano di far palpitare sotto i balconi il cuore della propria amata. E ne vogliamo parlare di tutte le ricorrenze dell’anno, di tutti i grandi eventi e fenomeni, di ogni umano sentimento? Lorenzo ha fatto questo, e non in italiano, ma nella lingua dei nostri padri e dei nostri nonni, nella nostra lingua, con la sua anima antica.

Amichevolmente tratto dal Blog di Raimondo Moncada

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