E’ del 80% il tasso di mortalità dei malati Covid ricoverati nella Terapia Intensiva degli Ospedali Riuniti di Sciacca e Ribera.

Il dato si ricava dalla risposta fornita dalla Direzione Sanitaria Aziendale ad una richiesta di informazioni, avanzata dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva-Sciacca, finalizzata a per l’appunto a conoscere il numero dei pazienti ricoverati al Giovanni Paolo II in terapia intensiva Covid-19 dal 1 febbraio 2020 al 20 febbraio 2021 (data della richiesta) e il correlativo indice di mortalità.

La Direzione Sanitaria ha comunicato che nel periodo predetto sono stati ricoverati 31 pazienti, di cui 25 deceduti e 6 trasferiti in Medicina Covid-19 per miglioramento del quadro clinico.

Trova quindi conferma ufficiale quanto era stato finora solo una opinione diffusa a livello di opinione pubblica cittadina, ossia che il tasso di mortalità tra i pazienti Covid in terapia intensiva a Sciacca fosse comunque elevato, nonostante la riconosciuta professionalità e abnegazione profusa dagli operatori ospedalieri che giornalmente si spendono sulla trincea di questa guerra contro la pandemia.

Sull’argomento il Tribunale per i Diritti del malato di Sciacca ha inviato una lettera al Presidente della Regione siciliana, all’Assessore regionale alla sanità e al Commissario dell’ASP di Agrigento, nella quale si richiede una indifferibile riflessione e verifica sulle possibili cause di un tale elevato tasso di mortalità, unitamente alla richiesta di una immediata attivazione a pieno regime del Centro COVID di Ribera, ripetutamente preannunciata in tempistiche mai rispettate.

Un recentissimo reportage della trasmissione televisiva PresaDiretta di Corrado Formigli ha riportato, in mancanza di dati pubblici in materia, quanto accertato da un gruppo di ricerca dell’Istituto Mario Negri, ossia che il tasso di mortalità medio in terapia intensiva Covid a livello nazionale è di quasi il 50% e, soprattutto, che i dati di mortalità variano moltissimo da terapia intensiva a terapia intensiva dei diversi ospedali sparsi sul territorio nazionale. 

Sullo stesso argomento, e in linea con quanto riferito da PresaDiretta, è reperibile tra l’altro in rete un’articolo a firma di Marco De Nardin pubblicato in data 2 ottobre 2020 su info@med4.care in cui si legge tra l’altro:

“Molte delle terapie intensive in Lombardia hanno avuto una mortalità inferiore a quella media, cioè attorno al 25-30%, mentre molte altre hanno avuto invece una mortalità ben superiore, attorno all’80%. Ovviamente la media di tutte le terapie intensive rimane attorno al 50%, frutto però di questi due picchi molto precisi”.

Nello stesso articolo l’autore si interroga sul come interpretare questa differenza tra le diverse terapie intensive Covid-19: “ È stata una carenza di macchinari o di personale o di competenze o cos’altro, che ha prodotto una differenza di risultati così significativa?” 

“Al di là della diversità della logistica, ovvero il luogo fisico che ha ospitato i pazienti, quello che è cambiato molto tra una terapia intensiva e l’altra è stato il personale. La carenza di personale esperto” – si sostiene – “è la causa principale alla base delle differenze”. è la tesi portata avanti dal servizio speciale di info@med4.care.

Questa è quindi è la tesi portata avanti dal servizio speciale su info@med4.care con riferimento alla Lombardia, e nella parte dedicata alla conclusione si legge che “ la mortalità in terapia intensiva per Covid-19 nelle terapie intensive di alto livello (personale qualificato e macchinari adeguati) si aggira attorno al 25-40%, a seconda della complessità dei casi”; quella nelle terapie intensive di basso livello (con personale di fortuna e mezzi inadeguati) si aggira attorno al 80%. La media è frutto di queste due realtà ben diverse, che hanno coesistito durante il momento di massima allerta (si ricorda che l’articolo risale al 2 ottobre)”.

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