E’ sicuramente una pagina assai significativa nella storia della scautismo italiano e riguarda un drappello di scout di Sciacca (a quell’epoca si diceva boy scouts) che furono tra i primi a raggiungere i luoghi devastati dal sisma del 1968.               

Erano tempi in cui la Protezione Civile non esisteva e quella splendida azione di coraggio e di volontariato venne magistralmente descritta in un numero speciale del settimanale EPOCA del 28 gennaio ’68, in un reportage denominato “Quello che i nostri occhi hanno visto”a firma di Pietro Zullino, notissimo giornalista del tempo, anche lui tra i primissimi ad arrivare nel Belice come inviato speciale. La quinta pagina di quel reportage aveva un titolo che ancor oggi mette i brividi: “Nella notte i boy scouts restano soli a scavare”.                                                               

Conservo a casa tra le cose più care quel numero speciale e affido a questo Blog la possibilità di rivivere e condividere con i lettori quei momenti drammatici e il coraggio dei ragazzi con il fazzolettone scout al collo, attraverso le parole e il racconto di Pietro Zullino,  un testimone diretto. 

“ Verso l’alba fu trovata alle porte di Montevago una massa di superstiti in preda a shock. 
Il primo a giungere sul posto fu il capitano dei carabinieri di Sciacca, Leone… 
Dopo i carabinieri giungono – sempre da Sciacca – i vigili del fuoco e quasi contemporaneamente i primi gruppi di boy scouts guidati dal capo-clan Francesco Cassar. 
Gli uni e gli altri si muovono con grande efficienza. 
Mentre i vigili del fuoco operano i primi salvataggi con gli scarsi mezzi che hanno a disposizione, gli scouts si gettano fra le macerie, tendono le orecchie a percepire i lamenti, tagliano i cavi elettrici e puntano senza esitazioni al recupero dei medicinali della farmacia.
Sono fortunati: in due ore, mentre negli uffici di Trapani , Palermo e Agrigento ancora si stenta a capire l’accaduto, questi ragazzi con il fazzolettone scout riescono a rendere disponibile una piccola montagna di farmaci. 
Ma non possono distribuirla tra i feriti, ci vuole un ordine del prefetto, altrimenti non si può… 
Gli scouts scalpitano per dodici ore, poi con un colpo di mano si impadroniscono dei medicinali e li nascondono. 
Ne faranno di nascosto una sommaria distribuzione a feriti che, dimenticati da tutti, gemono tra le macerie di sperduti casolari di campagna. 
Ma non si scava! A Montevago come a Gibellina ci sono dei vivi, ci sono bambini sotto le macerie. Ma non si fa niente per salvarli. Letteralmente niente.
Esterrefatti da quel modo di procedere, alcuni volontari civili invocano con ira ruspe e bull-dozers… 
Ma la prima ruspa arriva soltanto nel pomeriggio e viene usata a casaccio, dove si vede spuntare il piede o la mano di un morto…  Cala rapidamente la sera e ci si accorge con terrore che i lavori di scavo dovranno essere sospesi perché mancano riflettori e gruppi elettrogeni. 
Qualcuno si batte la fronte. Ma subito subentrano fatalismo e rassegnazione. 
E nella notte, sulle rovine di Montevago, rimangono soltanto i boy scouts di Sciacca a picconare con l’aiuto di lampadine tascabili. 
Lo scenario è di un orrore indicibile, ma quei ragazzi di sedici anni si muovono con un sangue freddo eccezionale

Sentono un lamento, un fiato, un rumore qualsiasi e si gettano a scavare, senza perdere tempo a domandarsi se, invece che un bambino, non sia una capra ferita o un tacchino…”

Nei giorni successivi Sciacca diventa il centro delle operazioni di soccorso e qui vengono organizzati ricoveri e ospedali di fortuna per i terremotati feriti e sopravvissuti, al campo sportivo dell’Agatocle, al Grand Hotel delle Terme e al Motel Agip, requisiti allo scopo.

E anche in questa fase dell’emergenza gli scout di Sciacca sono in prima linea.                       

Una rivista trimestrale di quel tempo, “La Critica Sociologica”, così lo descrive : 

“I bambini siedono anch’essi immobili, e fanno ancora più impressione dei grandi. Sembra che non vedano i boy scouts che corrono a levar piatti, a portare coperte… Tutti, poliziotti, carabinieri, boy scouts sono molto pallidi”.                               Il giornalista (Gualtiero Harrison) poi racconta: “ Grande folla al Motel, ressa per mangiare. Al nostro tavolo siedono un boy scout e l’organizzatore dei soccorsi del Partito Comunista di Sciacca. Il boy-scout si chiama F.C. (Francesco Cassar), sembra molto stanco, è il capo dei boy scout di Sciacca. Sì, hanno lavorato molto, è molto fiero dei suoi ragazzi, sono stati tutti molto coraggiosi, si sono impegnati e si stanno impegnando al limite delle loro forze. Lui ha anche organizzato dei turni e ha chiesto che i rinforzi dalle altre città italiane non arrivino tutti insieme, ma frazionati nel tempo.

“ Sono già arrivati i fiorentini – dice Cassar -, bravi ragazzi, lavorano indefessamente, senza risparmiarsi”.

Ma Francesco Cassar è orgoglioso soprattutto dei suoi ragazzi.

“Lo sa che certi sono scappati dalle finestre dei cascinali, perché le madri non li volevano lasciar venire?”.

“Siamo arrivati a Montevago alle prime ore dell’alba di lunedì 15, insieme ai primi soccorritori. Era un mucchio solo di macerie e i superstiti pietrificati dal freddo e dallo spavento. Noi abbiamo subito scavato e rinvenuto i primi morti. Il primo giorno ne sono stati trovati in tutto 47, di questi 24 li abbiamo tirati fuori noi scout di Sciacca. In quei primi giorni ci lasciavano fare tutto a noi, con le nostre uniformi passavamo dappertutto, e tutti felici che ci fosse qualcuno che si muoveva. Abbiamo scavato casa per casa, siamo andati in giro a convincere la gente ad andare nelle tendopoli.               

“E ora qui, al Centro di Sciacca, – conclude il suo racconto Cassar al giornalista – cominciamo a fare servizio alle 7 di mattina e andiamo avanti fino alle 11 di sera. Siamo stanchi, ma sempre pronti e felici di poterci rendere utili”.

Ho voluto raccontarvi questa nobile storia perché mi sembra fedele al nome del nostro Blog e per rendere omaggio a tutti gli scout che, con il loro fazzolettone al collo, scrivono, ieri come oggi, pagine di coraggio e di volontariato civile, fedeli al punto della legge scout che recita “si rendono utili e aiutano gli altri in ogni circostanza”, senza che, il più delle volte, i mezzi d’informazione si occupino di loro.  

Un pensiero su “QUELLA NOTTE DI 53 ANNI FA, QUANDO GLI SCOUT DI SCIACCA RESTANO SOLI A SCAVARE TRA LE MACERIE DI MONTEVAGO.”
  1. C’ero anch’io!avevo 17 anni….ricordo gli universitari fiorentini venuti con un carico di coperte che hanno distribuito ai feriti in ospedale…ricordo il montaggio delle tende mottarone che solo i nostri Rovers sapevano montare ,ricordo lo strano alternarsi dei nostri sentimenti quando avevamo un un’attimo di tempo per confrontare le nostre emozioni…

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